Lavoro: si può smettere senza smettere | L’onda che arriva dall’America

Il paradigma lavorativo tradizionale è stato totalmente ribaltato. Gli italiani vogliono cambiare lavoro ma hanno scarse competenze

Un recente studio ha stimato che nell’arco della vita trascorriamo ben 27 anni dormendo, 15 mesi a cercare oggetti perduti e all’incirca 90mila ore lavorando. Oggi, però, sempre più persone non sono soddisfatte del proprio lavoro. Gli studiosi chiamano questi fenomeni ”Great Resignation” e “Quiet Quitting”.

Il fenomeno del quiet quitting (web source) 14.11.2022 android king
Il fenomeno del quiet quitting (androidking.it)

Un lavoro con cui sentirsi gratificati economicamente e umanamente. In pochi possono dire di averlo realmente. Uno dei bisogni principali che emerge è la necessità di sentirsi stimolati nella crescita professionale che non riguarda solo un ambito di competenze, ma anche di motivazione e relazione.

Gli studi sul punto si susseguono e dalle analisi emerge che gli italiani vogliono cambiare lavoro ma hanno scarse competenze. Il 52% non è in grado di sostenere una conversazione in inglese. Per un italiano su due l’inglese nel mondo del lavoro rappresenta ancora un ostacolo. Sebbene il 93% degli intervistati ne riconosca l’utilità in ambito lavorativo, il 52% di essi si blocca nel momento di intavolare una conversazione. Lo speaking infatti è ancora il grande scoglio degli italiani, nonostante chiamate, meeting o eventi con colleghi anglofoni siano ormai all’ordine del giorno.

Il paradigma lavorativo tradizionale è stato totalmente ribaltato. Fino a poco tempo fa, nel mondo del lavoro si valorizzava il concetto dello sforzo, ma soprattutto del sovraccarico. Era così ben visto che, nonostante non fosse ricompensato a livello economico e con possibilità di crescita interne all’azienda, veniva totalmente accettato.

Non si tratta solo di svogliatezza da parte dei lavoratori. Le aziende devono creare spazi, dinamiche, progetti e avanzare proposte per conoscere lo stato psico-fisico-emozionale dei propri lavoratori. Opzioni che includono, naturalmente, percorsi educativi e di formazione.

Il quiet quitting

Portato alla ribalta nell’estate 2022, il termine quiet quitting si potrebbe tradurre con ”dimissioni silenziose”, ma dietro le numerose interpretazioni dell’espressione, in realtà c’è un fenomeno noto: un sempre più diffuso senso di frustrazione correlato al lavoro.  Per alcuni, quiet quitting significa rifiutarsi di andare oltre sul lavoro. Per altri, invece, significa porre dei limiti per migliorare l’equilibrio tra lavoro e vita privata.

Secondo l’indagine State of the global workplace 2022 della società americana di analisi e consulenza Gallup, la percentuale media di engagement a livello globale è del 21% e l’Italia si colloca all’ultimo posto in Europa con una percentuale di engagement del 4%. Il che significa che siamo primi per disaffezione al lavoro. Negli States almeno la metà degli americani sembra composta da quiet quitters, mentre l’Europa è ultima tra i continenti per coinvolgimento sul lavoro, con una percentuale del 14%.

Il fenomeno del quiet quitting non è una novità, ma è tornato sotto i riflettori con l’arrivo della pandemia: un evento che ha portato molti a ridefinire le priorità di vita e il proprio rapporto con il lavoro, cercando un migliore equilibrio esistenziale. Secondo un altro studio citato nel WP, il 95% degli intervistati considera la compatibilità con la vita privata l’aspetto più importante sul lavoro (a pari merito con la retribuzione).

Quiet quitting
Lavorare quanto basta Foto di StartupStockPhotos da Pixabay

Ad essere meno disposti a scendere a compromessi sul lavoro sono in particolare i giovani Millennials e della Generazione Z, costretti a confrontarsi con un mercato del lavoro che dà loro scarse prospettive di stabilità e opportunità di crescita e inclini perciò a cercare la realizzazione personale anche in altri aspetti dell’esistenza.

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